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Edward Bach: breve storia di un medico omeopatico
Edward Bach nacque il 24 settembre 1886, in Inghilterra, a Mosley, nel Warwickshire, nei pressi di Birmingham, da una famiglia di origine gallese. Da ragazzo lavorò nella fonderia di proprietà del padre e, trovandosi a contatto con le sofferenze fisiche degli operai, presto maturò la decisione di diventare medico. Inoltre rimase molto impressionato da quanto spesso le terapie costituissero una pena aggiuntiva alle sofferenze dei malati.
Si propose allora di ricercare un metodo che consentisse di curare il paziente piuttosto che la malattia e che perseguisse l'ideale curativo di Ippocrate: cito, tute et iucunde , cioè presto, senza danni e piacevolmente. Il primo passo in questa direzione lo compì lavorando, dal 1919 al 1922, come batteriologo e patologo presso l'ospedale omeopatico di Londra. Qui Bach ebbe modo di confrontare le sue intuizioni con i fondamenti e i metodi dell'omeopatia. E da qui scaturì la sua scoperta dei nosodi intestinali che tuttora portano il suo nome. Personalità in perpetua ricerca, si licenziò dall'ospedale e sperimentò altri metodi terapeutici, dalla radioterapia al crudismo. Nel 1928, riprendendo il concetto di similitudine tipico della medicina omeopatica, cominciò a collegare determinati fiori che aveva modo di osservare nelle sue passeggiate per i parchi londinesi a certe personalità e comportamenti umani. Cominciò a studiare e analizzare piante e fiori nel suo laboratorio, per poi provare a somministrarli, prima di tutto a sé stesso, poi agli ammalati che aveva in cura. I successi terapeutici ottenuti lo incoraggiarono a continuare per questa strada: Bach si recò nel Galles, dove ebbe modo di studiare e raccogliere i fiori di altre piante, primi fra tutti Mimulus e Impatiens , cui si aggiunse poi Clematis : nacque così la floriterapia. Nella scelta dei suoi rimedi, Bach procedette soprattutto grazie alle sue capacità intuitive, acuite dal costante contatto con la natura, partendo dal presupposto che nel fiore sono concentrate tutta l'energia vitale della pianta e tutte le sue potenzialità. Prese in considerazione solo le specie botaniche superiori, escludendo alghe, muschi, licheni, funghi, per una maggiore vicinanza all'uomo nella scala biologica; ma limitò la sua selezione alle sole specie selvatiche, quelle in cui le forze della natura si esprimono allo stato nativo. Nel 1934, il suo sistema terapeutico trovò compimento nel 1934, con l'individuazione di 38 rimedi e la pubblicazione di due libri: I 12 guaritori e altri rimedi e Guarisci te stesso , opere in cui Bach esprime la sua concezione di salute e malattia, cura e guarigione. Edward Bach si spense serenamente nel sonno, dopo essersi curato di gravi malattie che lo colpirono, il 27 novembre 1937, nella sua casa di Mount Vernon, a Sotwell, nel Galles, dove tuttora sussiste il Centro Bach, che si occupa della raccolta e dell'infusione dei fiori che servono come base per la preparazione dei rimedi floriterapici.
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Lavorando come epidemiologo e batteriologo presso il London Homeopathic Hospital (1919-1922), Edward Bach venne a conoscenza della dottrina e della prassi terapeutica omeopatiche e scoprì una profonda affinità etica e teoretica con Samuel Hahnemann, il fondatore dell'Omeopatia. Dalla lettura e dallo studio delle sue opere, Bach trasse l'incoraggiamento a procedere nella ricerca di un metodo di cura che salvasse l'integrità e l'individualità del singolo malato, senza porre rigide distinzioni tra la sfera psichica e quella organica. Bach riconobbe, come Hahnemann, l'immaterialità dell'origine della malattia, e la necessità perciò di curarla con un rimedio altrettanto immateriale: Bach non poté esimersi dallo studiare la teoria di Hahnemann sui “miasmi”, che riconduce tutte le manifestazioni patologiche a un'unica malattia cronica, cui Hahnemann assegnò il nome di “psora”: questa teoria è tra le più dibattute nel mondo omeopatico e le sue diverse interpretazioni hanno dato origine ad altrettante scuole di pensiero e prassi terapeutiche. Per Bach l'origine della psora sarebbe da ricercare in un profondo squilibrio dell'apparato digerente e nel 1925, con la collaborazione di altri medici inglesi, mise a punto 7 “nosodi”. I nosodi sono particolari preparazioni in uso nella farmacoprassia omeopatica, ricavati da escrezioni o secrezioni patologiche umane o animali. I nosodi furono concepiti, intorno al 1830, da due tedeschi, il medico Constantin Hering, il fondatore della Scuola Americana di Omeopatia, il veterinario Wilhelm Lux, il quale sosteneva che <<tutte le malattie portano nella loro stessa sostanza il mezzo per guarirle>>, divenendo così egli il fondatore dell'isopatia, una medicina che cura non secondo il concetto omeopatico dell'analogia (“ similia similibus ”), ma secondo il concetto dell'identità (“ aequalia aequalibus ”), somministrando il prodotto patologico di un'affezione al malato colpito da quella stessa malattia. I nosodi ideati e sperimentati da Bach sono preparati a partire da bacilli che infestano l'intestino umano, come il proteus morgani , la shigella dysenteriae , o la salmonella enteriditis . L'uso che si fa di questi nosodi è sia isoterapico, ovvero si prescrivono quando esiste un'effettiva infestazione da parte di questi batteri, e sia omeopatico, cioè vengono somministrati quando un paziente, indipendentemente dall'eventuale infestazione batterica, manifesta quei sintomi che la somministrazione in dosi attenuate di quel bacillo provoca in un soggetto sano. Dall'omeopatia alla floriterapia Il contatto con l'omeopatia ispirò a Bach l'idea che la malattia fosse il consolidamento di un atteggiamento mentale negativo; curando l'atteggiamento mentale si sarebbe rimossa la causa della malattia, provocando la guarigione dei sintomi fisici, che sono solo il risultato di un disordine psicologico e spirituale, provocato da uno spavento una sofferenza prolungata, un trauma. Insomma, al contrario di quanto postula la medicina convenzionale, per Bach non è nel corpo la causa della patologia, bensì la manifestazione emozionale e quella fisica sarebbero indizi dell'alterazione energetica che lega insieme da una parte, nella coscienza, quelle emozioni e dall'altra, nel corpo, quei tessuti e quell'organo…. Agire con la floriterapia, attraverso le emozioni, significa così agire sull'insieme di quell'organismo….. E' l'individuo che viene curato nella sua totalità e unità. …. Gli stati mentali sono dunque la traccia, la chiave di accesso al disordine, alla malattia. A partire da questa concezione, Bach elaborò un nuovo e originale sistema terapeutico, tutto volto agli stati emotivi della persona, che tutti oggi conosciamo con il nome di “floriterapia”. I 38 rimedi ideati da Bach sono preparati partendo, per lo più, dai fiori di alcune piante silvestri, selezionate per la cura di diversi disturbi emotivi, in base alla legge di analogia, la stessa cioè che guida la medicina omeopatica nella scelta del farmaco per il paziente. Però, il criterio per stabilire la similitudine omeopatica tra rimedio e paziente è rigorosamente sperimentale e mette a confronto i sintomi patologici dell'ammalato con il quadro patogenetico suscitato dalle sostanze somministrate a soggetti sani. Bach recupera invece un'antica prassi empirica, che deduce le proprietà terapeutiche di una pianta dalle sue caratteristiche morfologiche. A questo criterio, nel ‘500, il grande medico e alchimista tedesco Paracelso aveva dato il nome di “ signatura ”, proprio a indicare che le sostanze portano impresso un “segno” nel loro aspetto. Un esempio di questa analogia signaturale, tipica della floriterapia, è offerto da Aspen , rimedio ricavato dal pioppo, il cui nome botanico è populus tremula : le sue foglie infatti fremono al minimo refolo d'aria, conferendo all'albero un aspetto costantemente tremebondo. Ebbene, Aspen è uno dei principali rimedi di Bach contro la paura. Alla nostra mentalità moderna, questa concezione appare più magica che scientifica; tuttavia, come afferma uno dei maggiori logici e filosofi del ‘900, Chaim Perelman, L'uso dell'analogia … deve guidare le ricerche empiriche …. Quando l'analogia svolge solo un ruolo euristico, quando è solo un mezzo più o meno fecondo per orientare le ricerche, e la sua fecondità viene giudicata in base ai risultati nuovi di cui faciliterà la scoperta, non ha senso chiedersi se l'analogia è vera o falsa. [Chaim Perelman, “Analogia e Metafora”, Enciclopedia Einaudi ]. |
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