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Ricordi di un mulattiere
Calò il silenzio sulla piazza di Sant’Angelo, quando alcuni anni fa, una sera con musica da tango e antiche canzoni napoletane,parlai degli ultimi mulattieri. Erano i miei ricordi di un tempo in cui le coppie di muli e le loro guide caratterizzavano ancora la vita del villaggio,come del resto la contraddistinguevano anche i pescatori con le loro barche che entravano e uscivano dal porticciolo. Quando io mi intrattenevo con la gente del posto su quali cambiamenti negli ultimi decenni fossero stati particolarmente significativi, essa faceva cadere quasi sempre il discorso sui mulattieri. Scrivere un libro sulla “Gente d’Ischia” senza un racconto di uno di questi uomini con i loro animali, il cui duro lavoro mi aveva già tanto colpito in uno dei miei primi viaggi a Ischia, mi sembrava perciò a malapena immaginabile. Ma da chi potevo saperne di più sulla loro vita? Quando parlavo con gli autoctoni o gli ospiti, spuntava sempre il nome di Leonardo, un ex mulattiere. Lui sapeva molto sul villaggio e la sua storia. Quando chiesi un consiglio al mio amico Michele, mi offrì subito il suo aiuto. Lui avrebbe parlato con Leonardo che insieme con suo fratello aveva guidato l’ultima coppia di muli a Sant’Angelo. Qualche giorno dopo mi fece sapere che ci saremmo incontrati in occasione della mia prossima visita a maggio. Avrebbe volentieri conversato con noi.
Dopo una riflessione abbastanza lunga, mi resi conto che avevo già notato quell’uomo alcuni anni addietro, quando portava con il suo carrello elettrico nella mia pensione i bagagli degli ospiti che arrivavano o li veniva a ritirare quando partivano. Se il tempo lo consentiva, accettava l’invito di Luisa di bere un caffè. Leonardo è un uomo di corporatura robusta, dai lineamenti marcati e capelli corti. Spesso fuma un sigaro , anche durante i tragitti verso le sue destinazioni, verso le quali talvolta mi accompagna. Ciò che in lui mi colpisce: una certa distanza che lui mantiene e irradia e una tranquillità impressionante.
Qualche giorno dopo il mio arrivo alla fine di maggio,sedevo di fronte a Leonardo nell’Hotel Conte. Indossava pantaloni lunghi blu scuri, una camicia dalle maniche corte. Con un sorriso appena accennato, mi porse la sua forte mano. Michele era visibilmente rallegrato della riuscita di quell’incontro. Per non essere disturbati da altri ospiti che erano giunti con bus o navi, cercammo un tavolo nella sala-ristorante. Lì eravamo circondati da quadri di pittori che avevano vissuto nel villaggio un tempo in cui la sua atmosfera straordinari era ancora plasmata da pescatori e mulattieri.
Appena il cappuccino fu sul tavolo, domandai a Leonardo se sentiva la mancanza dei muli. Avevo riflettuto a lungo se questa domanda potesse essere un inizio sensato per il nostro colloquio. Con questo speravo di
ridurre almeno in parte la distanza chiaramente percepibile e il – del tutto comprensibile- scetticismo dell’uomo nei miei riguardi. Ma lui mi guardò soltanto in silenzio. Un silenzio che mi toccò più di molte parole.
Alla fine Leonardo cominciò a raccontare senza aspettare altre domande con la sua voce forte, scura…
Come molti altri ex mulattieri, lui è nato a Panza, dove fino ad oggi vive con la sua famiglia. Anche lui aveva lavorato dapprima in un albergo. Il lavoro di mulattiere era iniziato nel 1983. Con orgoglio mi fece sapere che la sua famiglia possedeva cinque muli - di complessivi quattordici animali che venivano impiegati in diversi lavori a Sant’Angelo.
Già nel 1982, durante la mia prima visita dell’antico villaggio di pescatori, avevo conosciuto i muli e le loro guide. Stanco del lungo viaggio, ero giunto all’ingresso di Sant’Angelo su una piccola piazza, dove, con mia meraviglia, non c’era odore di gas di auto ma di animali. Accanto ai muli c’erano uomini dalle facce abbronzate, spesso con una barba ispida e berretti variopinti, che, pronti ad aiutarmi, presero i miei bagagli e li caricarono su uno dei pazienti muli. Queste furono molti anni fa le mie prime impressioni di un villaggio che da allora mi ha lasciato tracce incancellabili. Impressioni di cui io, venticinque anni dopo, volevo parlare con uno degli uomini della “piazza degli asini”, come fino ad oggi viene chiamata. Ne volevo sapere di più sulla sua vita di allora. E con mio sollievo, sentivo che Leonardo - con la dovuta discrezione – mi parlava volentieri di quel tempo passato.
Diversamente dai conducenti delle barche-taxi organizzati in una cooperativa, i mulattieri delle singole famiglie lavoravano ciascuno per sé con i loro muli. Un lavoro che cominciava di mattina presto, già tra le quattro e le cinque finiva la notte. Insieme con suo fratello Girolamo preparava per il lavoro giornaliero gli animali, spazzolando per ore e con cura il loro pelo. Avvertii ancora di più il suo rispetto e amore per essi.
Un lungo giorno era cominciato… C’era molta strada da fare da Panza alla “piazza degli asini” a Sant’Angelo. Poi aspettare gli ospiti. Caricare gli animali con bagagli per lo più pesanti. Il tragitto verso case private, pensioni a alberghi quasi sempre situati in alto. Scaricare bagagli e borse. Ritornare alla “piazza degli asini”. Aspettare di nuovo ospiti.
E poi soprattutto le stradine ripide, strette, quando occorreva andare dall’altra parte alla spiaggia dei Maronti. Era difficile per i mulattieri, spesso le stradine dovevano essere allargate con tavole. Da un lato le pendici dei monti che svettavano, dall’altro lato il mare che si distendeva sotto, nel mezzo spesso larghi crepacci che tempeste e piogge avevano scavato nel suolo friabile.
I lunghi periodi di lavoro richiedevano molto dagli uomini. Dopo l’inizio tra le quattro e le cinque, la giornata finiva per lo più a mezzanotte. La sua fine la determinavano gli ospiti che erano giunti con l’ultima nave da Napoli.
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Che la giornata di lavoro iniziasse già all’alba dipendeva dal fatto se gli ospiti dovessero partire tanto presto da raggiungere in tempo gli aerei a Napoli che li riportassero nel loro Paese. I mulattieri dovevano essere sempre lì, pronti per un nuovo trasporto.
Era un lavoro che durava tutto l’anno. Nei mesi invernali c’erano da trasportare soprattutto materiale da costruzione, pietre e cemento per le riparazioni o per nuove costruzioni di case, stradine e muri. Durante la stagione estiva si trattava soprattutto di bagagli degli ospiti, di generi alimentari come frutta e verdure, acqua, vino e bombole di gas.
Del tutto inaspettatamente, Leonardo mi raccontò una cosa fino ad allora a me sconosciuta. Sempre all’inizio della stagione estiva ad aprile veniva prelevato agli animali, con un taglio in una vena del collo, circa un litro di sangue. Questo intervento serviva, come mi spiegò in seguito a una mia stupita domanda, a prevenire la pressione alta degli animali all’inizio della fioritura e della crescita della vegetazione sull’isola. Una storia che stranamente mi commosse e che lasciò in me una contrastante impressione.
Leonardo si sentiva molto legato agli animali. Così tutti gli animali avevano un nome. Perciò sorse spontanea la mia domanda su come si chiamasse il suo mulo preferito. Quella mattina, per la prima volta cominciò a sorridere. Si chiamava Celentano, dal nome del famoso cantante. In quel momento sentii: finalmente lo scetticismo rimasto nei miei confronti era scomparso, Leonardo cominciò ad avere fiducia in me. Allora mi parlò anche di suo fratello Girolamo…
Aveva sempre lavorato insieme con lui. Ma mentre lui nel 1995 aveva concluso il lavoro come mulattiere e continuato col carrello elettrico, suo fratello era rimasto ancora per qualche tempo fedele ai muli. Per lui essi erano sempre al primo posto, erano fedeli, erano suoi amici, Mentre lui raccontava, rivedevo davanti a me suo fratello, come conduceva l’ultima coppia di muli per le impervie stradine che conducevano sui monti…
Lo avevo incontrato spesso, quando seguiva lentamente i suoi animali. Per lo più era tra la chiesa di San Michele e gli alberghi Casa Rosa e Vulcano, talvolta anche in via Madonnella su in alto verso Serrara. Un uomo in pantaloni ampi, grigio azzurri, su questi una camicia di cotone multicolore. Talvolta lo sentii parlare con i suoi animali, anche come li incoraggiava con lo schiocco della lingua ad andare avanti. Talvolta lo vedevo come di sera lasciava il villaggio per ritornare a Panza,andando dietro ai suoi animali, tenendo ferma con la mano la coda dell’ultimo.
Solo di rado mi riusciva di afferrare nel saluto fugace dell’uomo un suo sguardo. Sembrava che uno strano silenzio lo avvolgesse, lui e gli animali per lo più stracarichi, che percorrevano stanchi la loro strada. Stanchi, come l’uomo nei cui occhi credevo di vedere una certa malinconia. L’uomo mi era estraneo, ma presto credetti di comprendere qualcosa dei suoi supposti sentimenti. In ognuna delle mie visite a Sant’Angelo il numero delle coppie di muli si era progressivamente ridotto, ma si vedevano pur sempre ancora tra i carrelli elettrici. Spesso vedevo turisti che volevano fotografare la loro coppia di muli. Scene che mi avevano colpito,giacché il dolore e la solitudine per me comprensibili dell’ultimo mulattiere si sottraevano a questo tentativo. Forse occhi spalancati e un’anima sensibile potevano arguire qualcosa di quello che accadeva nel frattempo in quell’uomo.
Così anche per Girolamo giunse la fine di quel lavoro. Per un certo tempo ebbe ancora quattro animali, poi questi furono venduti gradualmente ad acquirenti presso i quali si trovarono bene. Dopo la sua coppia di muli, che talvolta avevo incontrato, gli restava ancora un cavallo – Grillo era il suo nome – come suo ultimo animale. Fu un addio doloroso, dopo il quale lui si ammalò per lungo tempo.
D’altro canto Leonardo cercò di adattarsi alla nuova situazione , carrelli elettrici invece dei muli. Anche per lui la vita senza i suoi animali all’inizio era difficile. “ I primi giorno con il carrello furono duri” Ma lui decise di dare un taglio netto: il carrello elettrico era,come lui sottolineava, una “rivoluzione”. All’improvviso tutti lo volevamo avere. Era più veloce, Non causava sporcizia sulle strade e le piazze. Non richiedeva particolare cura, non c’era più bisogno del veterinario. Di conseguenza ci fu sempre meno lavoro per i mulattieri…
Alla fine il Comune emanò un’ordinanza il cui contenuto era inequivocabile: i muli dovevano scomparire perché si diceva che sporcavano le stradine.
Leonardo sintetizzò in modo efficace lo sviluppo di quella situazione: “ Il mulo è stato sopraffatto dal carrello. Ciò era inevitabile. E’ stata l’evoluzione dei tempi. Chi lavorava con i muli, aveva sempre meno lavoro. Tutti a un certo momento avevano un carrello… E dopo una lunga pausa aggiunse. “ Ma era più bello con i muli. Ci dobbiamo rassegnare. Le cose belle non ritornano più.”
Parole che toccarono visibilmente Michele. Lui completò “ Allora Sant’Angelo era più bello. Mi ricordo che la pesca era sempre abbondante. Noi portavamo i pesci a casa , li pulivamo e friggevamo. Anche il giorno dopo le reti erano di nuovo piene di pesci. Oggi invece si pescano solo meduse e immondizia.
E ancora Leonardo:” Era meglio prima. Ho bellissimi ricordi del passato”. Alla mia osservazione che con i carrelli elettrici oggi il lavoro è diventato molto più facile, mi rispose brusco e con molto sentimento:” Oggi c’è molta gelosia. Allora c’erano più contatti tra noi, un vero, umano rapporto di amicizia. Noi chiacchieravamo spesso tra noi. E’ come la differenza esistente tra un albergo grande e uno piccolo. In quello più piccolo c’è più disponibilità ad aiutare e gentilezza verso gli ospiti.
Oggi il tratto di strada verso una casa o un albergo viene percorso in quattro o cinque minuti. Perciò non c’è più tempo di parlare l’uno con l’altro. L’auto è fredda. Allora c’era tempo di chiacchierare tra noi per formare un’amicizia e offrire un bicchiere di vino. Talvolta c’era coniglio dal recipiente di terracotta che io o altri colleghi avevamo portato da casa . Mangiavamo tutti insieme sulla “piazza degli asini”. Spesso anche con ospiti che erano personaggi eminenti. Oggi si dice solo “Buon giorno” e “Buona sera”. Una volta c’era armonia tra tutti, anche se oggi si vive meglio sul piano economico “
Alla fine della nostra conversazione avvertii un’aura di intensa riflessione, anche di malinconia tra Leonardo, Michele e me. Grandi erano stati i miei dubbi iniziali. Mi ero domandato se mi sarebbe riuscito di guadagnare la fiducia di Leonardo. Al momento del saluto nell’occasione del nostro incontro, avevo sentito nei suoi occhi la domanda inespressa: ma che cosa vuole da me? Però con l’aiuto comprensivo di Michele, alla fine mi era riuscito, questa la mia impressione, di superare la distanza da un uomo per il quale ero stato un estraneo fino a quell’ora.
Aveva aperta al porta di un tempo che è ignoto anche ai giovani di Sant’Angelo e di altri posti dell’isola. Mi aveva raccontato molte cose nuove e interessanti. Perciò provai gioia e gratitudine, quando porsi la mano a Leonardo al momento del commiato. Un regalo ulteriore a mezzogiorno fu il suo lieve sorriso mentre si avviava verso la “piazza degli asini”, verso nuovi ospiti che arrivavano e partivano. FINE
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